Traduzioni e traduttori. Parte I "Il Veses" luglio 2006

caffè

Se c�� una cosa di cui noi italiani non ci vergognamo davanti a nessuno � di vergognarci di parlare italiano. Basta leggere le insegne delle �osterie�, che adesso si chiamano �wine bar�; e chiss� perch� un �coffe break�, perfino in un convegno dedicato alla lingua italiana, appare pi� gradevole di una sana �pausa caff�".

Sembra che non siamo proprio capaci di evitare il ridicolo, cercando in tutti i modi di imitare e scimmiottare i padroni del mondo (di volta in volta diversi) parlando come loro; sapendo per� poco, in realt�, della loro lingua, spesso vogliamo essere pi� inglesi degli inglesi: �contr�l� diventa �c�ntrol�, �perf�rmance� diventa �p�rformance� (o �perform�nce�, se si crede che sia francese).

Consola poco pensare che pi� di duemila anni fa il difetto veniva stgmatizzato con arguzia dal poeta latino Catullo nel carme 84, prendendo in giro un tale Arrio che, per sembrare pi� raffinato, aggiungeva alle parole una �h� che non c�entrava. Tecnicamente l�atteggiamento si chiama �ipercorrettismo� o �iperurbanesimo�, e denuncia proprio il provincialismo di chi lo assume.

shakespeare

Per la verit� sono capitati anni, in Italia, in cui si esagerava nel senso opposto. Molti si ricorderanno il �Minculpop�, Ministero della Cultura Popolare fascista, che imponeva agli italiani una lingua autarchica spesso ridicola nello sforzo di evitare anglismi e francesismi (quelli erano i nemici!). Ma il colmo lo abbiamo raggiunto nell�800, quando l�orgoglio nazionale in piena crescita ci faceva tradurre non solo i nomi (e passi!), ma perfino i cognomi dei personaggi importanti stranieri.

Cos� William Bacon diventava Guglielmo Pancetta (mica solo Bacone), Ren�e Decartes, alla latina Cartesio, si trovava anche come Renato Delle Carte. Fiore all�occhiello, William Shakespeare, che, giacch� �shake� significa �agitare� e �speare� �lancia�, compariva cos� sui frontespizi delle edizioni italiane dei suoi immortali drammi: �Romeo e Giulietta, di Guglielmo Crollalanza�. Non ci credete? Chiedete in Valtellina, dove sarebbe nato!

Un�equilibrata via di mezzo si potrebbe trovare se non fossimo cos� insicuri di noi.

Nel campo dell�informatica, ovviamente, il nostro complesso di inferiorit� linguistica trova pane per i suoi denti.

�Computer�, per esempio, potrebbe chiamarsi come una volta �elaboratore, o �calcolatore�: in Francia si dice �ordinateur�, in Spagna �computadora�; perch� qui da noi una locale importante azienda informatica (ops!, �software house�!) gi� anni fa si vergognava di essere ormai l�unica a contenere nel nome la parola �calcolatori�? E sia, ormai questo � l�uso, e infatti anch�io mi adeguo in questi articoli.

Va da s�, si capisce, che certi termini tecnici non si possono tradurre, non solo perch� occorrerebbe inventare parole nuove apposta, e non ci staremmo dietro (ma in questo i francesi sono dei veri campioni�), ma soprattutto perch� tali termini ambiscono a essere internazionali come il mercato dell�informatica e i servizi di assistenza, e non gioverebbe a nessuno una babele in cui un tecnico italiano non sa mettere le mani su un computer francese.

Per fare un esempio, in Francia l�unit� di misura di otto cifre binarie, detta altrove �byte�, viene definito �octet�; � vero che tecnicamente � pi� corretto (un byte pu� anche non essere di otto cifre, e allora addio unit�), per� trovarsi alle prese con Ko, Mo, Go al posto di KB, MB e GB, come nel resto del mondo, pu� disorientare. (Se volete saperne di pi�, leggete in internet gli articoli della Wikipedia: Byte e Octet).

In molti casi, per�, qualche �buona� traduzione ci farebbe piacere: se l�informatica parlasse un po� pi� italiano, se nell�acquistare un computer potessimo capire tutti che cosa ci stanno vendendo, se si potesse dire pane al pane� Nel prossimo articolo vedremo qualche esempio.

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