La perdita dell'aura "Il Veses" maggio 2009

Walter Benjamin Walter Benjamin

L’aura non c’è (è andata via)

Era il 1935 quando fu pubblicato il celebre studio di Walter Benjamin “L’opera d’arte nell’epoca della sua riproducibilità tecnica”. Nel 1931 si era occupato dello stesso tema, con altra impostazione, Paul Valéry in “La conquista dell’ubiquità”.

Cinema e fotografia avevano già da tempo iniziato quell’enorme rivoluzione dei media che oggi è una delle componenti più importanti della cultura e della vita di milioni di persone.

Il saggio di Benjamin ha un grande spessore filosofico e politico, ma in sintesi estrema l’argomento che ci interessa qui è quello della “perdita dell’aura”.

dagherrotipo

Fino a quell’epoca l’opera d’arte aveva mantenuto una sua sacralità per il contesto in cui si poteva fruire: un quadro si poteva osservare solo in un museo, in una villa padronale, in un palazzo, in una chiesa; per breve tempo, forse una sola volta nella vita, forse mai. Era spesso riservata a pochi eletti. Unicità, autenticità, irripetibilità e distanza creavano intorno all’opera un’“aura” appunto sacrale.

strumenti per dagherrotipo Strumenti per dagherrotipo

La sua riproducibilità tecnica distruggeva l’aura: l’opera era adesso copiabile, ripetibile, vicina, sempre disponibile, alla portata di (quasi) tutti.

A distanza di tanti decenni tutti disponiamo di mezzi adatti a copiare, diffondere, possedere non solo immagini ma anche filmati, musica… in quantità e con facilità inimmaginabili ai tempi di Benjamin. Per limitarci alla musica, dopo le audiocassette, duplicabili, sono arrivati i CD, masterizzabili, oggi superati dagli mp3, diffusi non solo su supporto fisico ma per via telematica.

Copyright

Paradossalmente, quella stessa riproducibilità che aveva per decenni garantito i guadagni delle case (ri)produttrici adesso le sta portando alla chiusura, scatenando da parte della loro lobby una vera “guerra del copyright” a colpi di legislazioni sempre più repressive.

E inutili. Non solo perché destinate alla sconfitta, ma anche per la debolezza delle loro basi culturali e giuridiche.

Come si può sostenere che “detenere” (visto?, lessico criminale) una copia per ascolto personale è lo stesso che farne commercio illegale?

E quella che viene venduta a caro prezzo in un CD è un’opera d’arte o non già una sua copia? Copiare un mp3 è “furto dell’opera dell’ingegno” come un plagio?, come se dicessi “la quinta di Beethoven l’ho scritta io”?

Concerto

E poi: una legge che garantisce i monopoli è anche capace di garantire all’umanità di poter sempre fruire in futuro dell’opera d’arte?

Molti artisti si sono adeguati: regalano la musica via internet, e poi aspettano i fan, moltiplicati, ai loro concerti: lì l’arte è unica, irripetibile, autentica. Nell’evento l’aura sopravvive. E l’artista (coi suoi discendenti) torna a vivere del suo lavoro e non di rendita.

Xerociviltà

Nel discorso “De bibliotheca” (1981) Umberto Eco usava il termine “xerocivilità” per indicare la civiltà delle fotocopie.

Chi di noi non ha fotocopiato testi da utilizzare comodamente a casa propria e non più in biblioteca?

Per Eco il rischio è l’alibi: non potrò leggerli tutti, si perderanno, però li posseggo: quindi è come se li avessi letti.

Acuto, come sempre:

“Con la nevrosi da fotocopia c’è il rischio che si perdano giornate in biblioteca a fotocopiare libri che poi non vengono letti.”

Il rischio è insito in tutte le copie, specie se abbondanti: possedere facilmente tanta musica porta a non ascoltarla, almeno non con la stessa attenzione e profondità: tanto, ce l’abbiamo... Lo stesso vale per i film, per gli e-book.

Innegabile, la grande disponibilità riduce il valore, e conduce al pericolo più grande: l’insignificanza.

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